Primo semestre 2017: bilancio e previsioni per il mercato NPL

20 luglio 2017

L’elevata consistenza dei crediti deteriorati che affligge l’intero sistema bancario italiano continua ad essere un problema con cui dover fare i conti, nonostante i primi mesi dell’anno, come conferma Banca D’Italia, abbiano registrato una frenata nella crescita delle sofferenze nette che non si rilevava da maggio 2014, con uno stock che si attesta intorno ai 77,23 miliardi, contro gli 85 miliardi di fine 2016.

Ma è sul valore lordo che le cifre si fanno più preoccupanti: 324 miliardi di euro di sofferenze alla fine del 2016, di cui 117 miliardi classificate come inadempienze probabili, con una leggera diminuzione in termini di percentuale rispetto al 2015.

Questi dati non sono certo confortanti ma evidenziano un’inversione di tendenza che non si riscontrava da anni. Basti pensare che dal 2010 al 2016, il GBV dei crediti deteriorati non solo non ha mai smesso di crescere ma è, in realtà, raddoppiato (+109%), con un aumento del peso complessivo sui bilanci delle banche che in sei anni è passato dal 54% al 75%.

Se, da una parte, una delle esigenze fondamentali è quella di quantificare la distribuzione del fenomeno tra le banche, suddividendole tra quelle che hanno un patrimonio solido e una buona redditività che gli consente di affrontare la questione facendo leva sulle proprie forze e quelle che hanno bisogno di un aiuto “dall’alto”, dall’altra per poter affrontare il problema seriamente, è necessario rafforzare il sistema bancario dall’interno, innestando una gestione proattiva dei crediti deteriorati. Quest’ultima può infatti costituire un importante punto su cui concentrarsi per le banche che in questo modo possono recuperare valore.

Uno degli elementi cruciali per il corretto inquadramento del fenomeno è nell’analisi dell’incidenza delle garanzie: la maggioranza delle sofferenze nette sono assistite per oltre i tre quarti da garanzie reali, soprattutto di primo grado. Di questi tre quarti, il 43% è garantito da immobili residenziali, il 10% da immobili di tipo industriale. L’attività strategica di recupero sugli asset deve quindi prevedere il supporto alle banche di intermediari esperti, la cui competenze specialistiche si aprono ad una varietà di indirizzi: da quello legale e finanziario, a quello informatico, di processo e infine commerciale. Su tutte, quella immobiliare è imprescindibile proprio per una corretta individuazione del valore di mercato degli immobili nella fase di assessment e per il loro riposizionamento sul mercato, analizzando tutte le possibili exit strategy. Oggi il mercato immobiliare è più complesso e competitivo quindi la capacità di analisi è indispensabile per ottenere il massimo dalla vendita.

Alle banche è richiesta un’opera di monitoraggio più intensa sulle posizioni: questo per poter istituire un meccanismo virtuoso in cui si possa avere contezza di un early warning già a partire dai primi segnali di anomalia, favorendo un dialogo con il debitore che possa aumentare le probabilità di rientro in bonis.

La gestione tempestiva degli unlikely to pay è certamente uno degli strumenti fondamentali che le banche dovrebbero efficientare, proprio per l’enorme vantaggio che offre il recupero nella fase performing, rispetto all’aggravio che l’abbattimento di valore del bene sul mercato giudiziale, le spese legali, la lentezza dei tempi giudiziali dei crediti sottoposti a procedure e i costi di gestione comportano.

Proprio questi limiti della capacità tecnica di smaltimento dei tribunali sono emersi da un recente studio prodotto dall’Associazione T.S.E.I. (Tavolo di Studio sulle Esecuzioni Italiane) di cui YARD Credit & Asset Management è uno dei soci fondatori, che ha messo in luce nuovi importanti dati rispetto alla durata media dei fascicoli chiusi con aggiudicazione dal 2010 ad oggi, evidenziando una significativa progressione che va dai 3,2 anni nel 2010 per arrivare a 4,9 nel 2016. La conseguenza di questi rallentamenti è proprio da riscontrarsi nella forte crescita dei crediti deteriorati degli ultimi anni che sta gravando pesantemente sull’aumento degli arretrati. Nonostante le modifiche legislative approvate nell’ultimo biennio per accelerare i tempi di recupero del credito quali l’istituzione del portale delle vendite pubbliche e il patto marciano, i problemi spesso riscontrati sono chiaramente collegati ai singoli tribunali, i cui tempi tra quelli più virtuosi e quelli meno differiscono spesso in modo rilevante. Sarebbero necessari degli interventi per omogeneizzare e diminuire la gestione delle procedure, snellendo le complessità attualmente presenti nelle diverse fasi che compongono l’iter. Ma solo questo non basta.

Quando si hanno volumi così alti, così come allo stato attuale, una delle leve di derisking più efficace è certamente quella della cessione. Molte sono quelle in programma nell’anno visto che il sistema bancario mira a ridurre di circa un terzo le sofferenze entro la fine del 2017: anche in questo caso la presenza di un servicer esperto e una presenza di dati trasparente serve a garantire un pricing più elevato rispetto alla qualità degli asset potendoli presentare con tutte le informazioni utili a valutare correttamente il valore del credito.

La recente introduzione delle linee guida armonizzate della Banca Centrale Europea rivoluzionerà certamente l’attenzione delle banche ai non performing loans, modificando completamente l’approccio a quello che finora è sempre stato un mercato secondario: grazie all’introduzione di nuove misure di vigilanza che migliorino i processi di gestione dei crediti deteriorati (dalla governance all’adozione di interventi volti alla sistematizzazione e all’informatizzazione dei dati, alla creazione di strutture interne dedicate, incaricate del monitoraggio delle posizioni), saranno gettate le fondamenta per strutturare una continua verifica sui livelli di sofferenze in pancia ai singoli istituti.

L’efficacia delle misure già introdotte insieme a quelle potenzialmente sfruttabili richiedono però un ruolo proattivo di tutti gli attori del mondo NPL: è importante che gli sforzi vengano unificati e che si continui sul sentiero delle riforme. Ma il tutto deve passare attraverso una nuova consapevolezza: quella che il nodo delle sofferenze non solo richiede un ripensamento del modello di business tradizionalmente usato dalle banche ma che necessita, oltre ad interventi collettivi, di azioni mirate e del supporto di società di servizi competenti che a seconda della specificità del problema, mettano in campo la loro capacità di pianificare le strategie più adatte e valide per il recupero.

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